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Ottanta aziende del settore moda hanno eliminato gli 11 gruppi prioritari di sostanze chimiche, valutati da Greenpeace come pericolosi, hanno promosso il monitoraggio regolare, attraverso una reportistica dettagliata, della presenza di questi componenti nelle acque reflue provenienti dalle fabbriche di fornitori. Queste iniziative virtuose sono il risultato dalla campagna Greenpeace Detox, promossa dalla nota associazione ambientalista per sensibilizzare le aziende del settore abbigliamento a ridurre l’impatto ambientale della filiera. Un progetto che, stando al  nuovo rapporto di Greenpeace Germania lanciato oggi  e intitolato “Destination Zero: sette anni di disintossicazione del settore dell’abbigliamento “, sembra aver dato i suoi frutti.

Un importante “cambio di paradigma”

Abbiamo fatto grandi progressi nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche pericolose che inquinano i nostri corsi d’acqua e l’ambiente, c’è stato un importante cambio di paradigma nell’industria dell’abbigliamento innescato dalla campagna Detox”, commenta  Bunny McDiarmid, direttore esecutivo di Greenpeace International.

Un approccio che include l’intera filiera

Dal report emerge inoltre come  il 72% dei marchi impegnati nella campagna Detox stia cercando di introdurre maggiori controlli sull’elenco dei fornitori e nell’intera filiera, il tutto per ridurre l’inquinamento idrico. Le aziende più virtuose tra quelle aderenti al progetto hanno addirittura annunciato di voler estendere questo approccio green anche alla produzione di fibre. 

Eliminazione dei PFC

Il dati mostrano inoltre come il 72% delle aziende aderenti a detox abbia raggiunto l’eliminazione completa dei perfluorocarburi (PFC), mentre il 28% stia ottenendo buoni risultati in tal senso. 

Necessario un intervento politico 

L’impegno promosso dalla campagna Detox, dovrebbe tradursi, secondo i promotori, anche in normative locali e globali che garantiscano l’efficacia dell’applicazione di questi standard di sostenibilità. ”Mentre siamo estremamente felici di vedere i progressi delle aziende Detox verso la pulizia delle loro catene di approvvigionamento, l’85% del settore tessile non sta ancora facendo abbastanza per eliminare le sostanze chimiche pericolose e migliorare le condizioni di lavoro in fabbrica. Questo è inaccettabile. È tempo che i responsabili politici intervengano e trasformino Detox in uno standard mondiale“, sottolinea Kirsten Brodde, capo progetto Greenpeace Germania della campagna Detox-my-Fashion.

L’indagine di ISPRA

Del  binomio  tessuti – tutela ambientale  si è occupata anche l’ISPRA. L’istituto ha pubblicato  insieme a “Donne in Campo”, realtà della Confederazione Italiana Agricoltori, un’indagine intitolata  “Filare, tessere, colorare, creare. Storie di sostenibilità, passione ed eccellenza” , dedicato alla produzione eco-compatibile di fibra da fonti naturali e/o di recupero, filati da tessitura artigianale, tintura naturale e confezioni con materiali e metodi compatibili con l’ambiente.

Il recupero della lana sudicia

Nel volume viene sottolineata l’importanza di adottare modalità operative improntate al riuso, ad esempio nella gestione della lana sudicia. Alcuni studi realizzati dal CNR e citati nel volume, stimano che dal totale della lana “sucida” (nell’accezione latina “unto, grasso”) italiana, proveniente dalla tosa non utilizzata delle pecore, si potrebbero ricavare oltre 5.000 tonnellate di fibra e 15 milioni di metri quadri di tessuto.

Conservazione di antiche varietà di lino

La pubblicazione dell’ISPRA sottolinea, inoltre, l’importanza della conservazione di antiche varietà di lino perfettamente adattate localmente, tema al centro di una delle storie del volume. “ Nel corso del XX secolo, infatti, – spiega una nota –  con l’avvento delle fibre sintetiche, la coltivazione del lino ha subito un forte declino con conseguente perdita di varietà di pregio”.

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