Crowdfunding, quali prospettive
 di finanziamento
 partecipato per
 il sistema energia

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Famose piattaforme americane di crowdfunding, come kickstarter, accolgono sottoscrittori di finanziamento nel mondo, mentre sono più rigide nell’accettare progetti da coloro che non risiedono in paesi “common law”. L’Italia e altre nazioni europee sono quindi escluse da questa possibilità. Ma se un modello di sviluppo funziona perchè esitare a promuoverlo? Soprattutto in settori emergenti in cui l’innovazione e l’investimento sono scelte strategiche a livello politico.  Ne parliamo con Francesco Lutrario direttore operativo di Up piattaforma di Crowdfunding italiana.

Come può una tipologia di finanziamento come il crowdfunding entrare nel business energetico?

Attualmente pensiamo a questa modalità di finanziamento secondo il modello americano cioè “reward based” per cui si finanzia una idea di prodotto e si è ripagati con un pre-order competitivo sul prezzo finale al pubblico.

Non c’è solo questa tipologia, tant’è che Francia e Inghilterra si stanno muovendo verso una forma più simile alla “finanza partecipativa” in cui il fine è sviluppare un servizio più che un prodotto.

Mi riferisco ad attività di “peer to peer lending” o “social lending” con la quale una azienda può ottenere dei finanziamenti per una attività, in cui, ad oggi, sarebbe difficilmente supportata da una banca, e lo fa chiedendo un prestito agli utenti finali. A questi verrà restituito il denaro ad un tasso di interesse che può variare in base al rischio di investimento o ad un ranking del progetto, ovviamente nei limiti sempre della legalità.

In questo modo il soggetto che raccoglie i fondi presta un proprio servizio per mettere in contatto i finanziatori e il progettista, tale attività per la legislazione di riferimento è solo funzionale ed è equiparabile ad un prestito tra privati, inteso come persone fisiche o giuridiche. Se invece il soggetto che raccoglie i fondi decide su chi e dove investire non si parla più di “peer to peer lending” ma di “social lending”. In questo caso chi effettua l’operazione deve essere accreditato, secondo la legge italiana, presso la Banca di Italia.

Le stesse banche difatti, soprattutto all’estero, si stanno spostando on-line proponendosi come gestori di queste attività.

In pratica il crowdfunding sta diventando un nuovo modello di investimento. Prima si investiva in Borsa, scommettendo sulla rentabilità di una azienda, oggi si punta direttamente a un progetto e posso farlo anche in prima persona?

Sì, per quanto il mondo del lending somiglia di più ad una forma di prestito diffuso che può prevedere interessi a tassi di mercato. L’Equity based crowdfunding ad esempio è normato: chi finanzia diventa a tutti gli effetti parte della società. In questo caso si tratta di Spa che effettuano un aumento di capitale riservato proprio ai sottoscrittori social.

Da un mio personalissimo punto di vista, una evoluzione di questo modello potrebbe chiamarsi “Royalty”. In cui si prevede un diritto sul profitto. Ad oggi non credo sia possibile con le regole vigenti, ma ritengo che presto si potrebbe arrivare a questo modello.

Questa forma di finanziamento partecipativo sta prendendo piede in Italia?

In Italia l’equity stenta a decollare, per vari fattori. Ad esempio c’è il tema del numero esteso di soci con cui ci si troverebbe a gestire la società, cosa che per le piccole realtà italiane rappresenta un ostacolo culturale, ma anche operativo, non da poco. Altro freno era il limite, fino a pochi mesi fa, per cui si finanziavano solo start-up innovative, ora il regolamento CONSOB ha esteso anche alle PMI questa possibilità.

Altro limite è il tetto sul finanziamento. Fino ad un massimo di 500 euro non ci sono problemi, mentre per importi superiori la persona fisica può investire solo a seguito del benestare di una profilazione effettuata da una banca. Si rischia che, se una specifica banca supporta una piattaforma, per semplificazioni interne, si potrebbe limitare la funzione ai non correntisti della stessa che vorrebbero accedere al sistema.

Quindi la differenza maggiore tra un modello che potremmo definire europeo ed uno americano è soprattutto nella regolamentazione?

Non solo, le piattaforme americane prevedono soprattutto attività di finanziamento su brevi racconti di una idea, mentre l’investitore europeo vuole poter attingere ad una descrizione più strumentale come business plan, Gaant etc. Quindi le piattaforme europee devono fornire strumenti di questo tipo. Anche noi, che stiamo per lanciare un prodotto simile, ci stiamo orientando su questo modello. Altro limite americano è l’essere troppo generalisti o troppo verticali, noi ad esempio stiamo pensando una struttura suddivisa in tre temi: progetti business, no-profit e in seguito anche family di piccolo cabotaggio.

Dal 2.0 ai social, continuando verso la diffusione delle informazioni, per proseguire alla condivisione delle amicizie e arrivare a quella del business: stiamo andando verso un nuovo modello di economia?

Secondo me sì. Il crowdfunding rispetto al credito abituale è la perfetta evoluzione di questo modello, che tra l’altro è nato con il “social sourcing”, in cui inizialmente si condividevano attività lavorative. Oggi trovo finanziatori, ma potrei cercare collaboratori e clienti.

Tra l’altro le campagne di funding stanno diventando anche un sistema per valutare il time to market di una iniziativa, così da sondare l’interesse del mercato al prodotto/servizio che si sta proponendo.

In quest’ottica la visibilità di una piattaforma è il core della sua forza commerciale, qual è la strategia migliore per rendersi appetibili?

Direi due elementi centrali: i progettisti devono attivare la propria cerchia di contatti, perché è sostanziale che un progetto abbia subito un minimo di investitori. Un progetto che parte a zero e rimane a zero non ha seguito. In secondo luogo, sempre per sviluppare il passa parola, sono strumentali azioni di comarketing con università, laboratori progettuali e creativi, associazioni di categoria, partner media… A questo poi si associano campagne di sponsorizzazione tradizionale sia di tipo branding che on-line marketing o Seo.

Vedi lo speciale dedicato sul mensile di aprile di Canale Energia

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.