Con tutto il gas possibile

FrecciagasdestraIl processo di liberalizzazione del mercato elettrico italiano si è delineato nella seconda metà degli anni ‘90 puntando, nel campo della generazione, su quei cicli combinati a gas capaci, da un lato, di assicurare affidabilità ed economicità d’impianto, dall’altro, di migliorare le performance ambientali del sistema.

Nei primi anni 2000 si è sommata una politica che ha sancito la grande ascesa delle rinnovabili nel nostro Paese, portandoci col tempo ai primi posti nel mondo per potenza installata e incidenza sui consumi.

Occorre notare che in entrambi i casi si è voluto prevedere l’andamento del settore energetico su un orizzonte temporale quantomeno di medio periodo, consentendo al Sistema Italia di rimanere competitivo. I risultati sono stati di fortuna alterna, con picchi in positivo (la creazione di tante filiere industriali di eccellenza e l’allineamento con i maggiori obiettivi climatici e ambientali nel mondo) e in negativo (la spesa in incentivazione non del tutto efficiente). Ciò che non si poteva prevedere era la crisi economica che dal 2008 ha molto depresso i consumi, mandando in crisi quasi tutti i mercati.

Attualmente ci troviamo in una fase simile per la filiera del gas, in cui si scontrano gli intenti di aumentare la liquidità nel nostro sistema con le ritrosie a fare investimenti per una congiuntura economica sfavorevole. Nel primo caso si ritiene di poter incidere in positivo sia sul prezzo del gas pagato nel nostro Paese, che resta tra i maggiori d’Europa, sia sulla possibilità di accompagnare la transizione verso un’economia a basso impatto di carbonio che assicurando maggiore sicurezza energetica al netto delle crisi internazionali. Come? Attraverso lo sviluppo della filiera del Gnl, la realizzazione di nuove pipeline e l’eventuale valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi.

Di contro, fa riflettere il calo drastico dei consumi che con difficoltà accenna a riprendersi, oltre alla critica di stampo ambientalista a determinate operazioni. In entrambi i casi ci si poggia su un’esigenza comune che ritorna: il bisogno di prevedere in qualche modo il futuro. Due parametri che si potrebbero considerare in questo esercizio sono, da un lato, il fatto che la crescita economica di un sistema corrisponde sempre all’aumento dei consumi energetici, dall’altro, gli obiettivi clima-energia al 2030.

Nel primo caso, fosse solo per spirito ottimistico, si può prevedere che la fase di crisi congiunturale abbia una fine e che quindi, fatti salvi gli sforzi in termini di efficienza energetica da portare a compimento, anche l’andamento dei consumi trovi nuovo slancio. Se si guarda all’orizzonte 2030, poi, si legge negli obiettivi europei definiti a ottobre 2014 (sotto presidenza italiana) che entro 15 anni soddisferemo i nostri consumi per il 27% con le fonti rinnovabili. Da ciò si deduce che il restante 73% resterà ad appannaggio di quelle ulteriori fonti che meglio sapranno rendersi compatibili con gli altri due obiettivi comunitari: riduzione della CO2 ed efficienza.

L’identikit del gas naturale quale combustibile del prossimo futuro sembra dunque tracciato, considerata la sua maggiore sostenibilità ambientale rispetto a carbone e petrolio, oltre a rappresentare una filiera di generazione meno osteggiata rispetto al nucleare.

Qual è, dunque, lo scenario di partenza in cui ci troviamo oggi? Si può cominciare dai dati di consumo, ormai in crollo da anni. Come descritto in un’analisi a cura di Ref-E su Quotidiano Energia, il 2014 ha segnato un -11,5% dei consumi gas rispetto l’anno precedente, che segue le diminuzioni registrate nel 2013 (-6,5%), nel 2012 (-3,3%) e nel 2011 (-3,6%). I consumi dello scorso anno sono dunque scesi a 61,5 miliardi di metri cubi sulla rete Snam. A incidere su questi numeri sono diversi fattori: dall’andamento climatico alla crisi economica, passando per i risultati di efficienza energetica e la concorrenza delle rinnovabili nella generazione di energia.

Dal punto di vista del gas circolante, invece, tra importazioni e produzione nazionale nel 2013 l’Italia ha potuto contare su circa 70 miliardi di metri cubi di gas. Rimanendo sugli scenari, in questo caso a livello europeo, la società di consulenza Boston Consulting Group ha stimato che in Europa le importazioni di gas aumenteranno di 44 miliardi di metri cubi nel 2020 e di 132 miliardi di metri cubi nel 2030, anche a fronte di una ripresa di consumi ed economie.

Per quanto riguarda l’Italia, infine, stando al Piano decennale di sviluppo della rete 2014 – 2023 di Snam Rete Gas, entro 8 anni dovrebbe esserci un aumento dei consumi nazionali di almeno 4 miliardi di metri cubi.

Infrastrutture per l’approvvigionamento sul territorio. Nell’equazione la variabile di maggior peso e dalla sensibilità più risentita è quella delle infrastrutture di approvvigionamento presenti o pensate nel nostro Paese. Quel “risiko dei tubi” che tanto spesso viene evocato sulla stampa locale, nazionale o di settore.

Il vero protagonista in questo senso è il Trans Adriatic Pipeline, ultimo tratto di un lungo percorso che dal 2020 porterà il gas azero in Europa attraverso l’Italia. In vista di questa data i responsabili di TAP stanno avendo non pochi problemi nella realizzazione dell’approdo in Puglia, a San Foca, fondamentale per l’intero progetto. Secondo le previsioni questo condotto avrà una capacità di 10 miliardi di mc l’anno, ma si pensa già che, data la cancellazione del progetto South Stream, si possa raddoppiare la quota.

Il South Stream è dunque l’ultimo grande “danno collaterale” dei complicati rapporti tra Europa e Russia – in cui l’Italia molto ha da dire e da rimetterci – dopo che il presidente Vladimir Putin ha annunciato che il gasdotto Italia – Russia da 63 miliardi di mc l’anno (anche in Italia attraverso l’Austria) non vedrà più la luce. Sostituto di questo collegamento è il Turkish Stream, ultimo arrivato nel grande gioco dei collegamenti energetici euroasiatici, che unirà la Russia alla Turchia e poi alla Grecia.

Sul fronte geografico opposto, è invece di poche settimane fa una dichiarazione del ministro degli Esteri Gentiloni che ha rilanciato un progetto incerto: “Siamo ancora interessati al Galsi e sosteniamo l’idea di una diversificazione delle fonti di approvvigionamento, soprattutto in questo momento segnato dalle difficoltà energetiche”. In questo caso si parla di 8 miliardi di mc l’anno dall’Algeria attraverso la Sardegna.

In definitiva, il quadro complesso e in particolare le vicende del South Stream hanno portato la Commissione europea a varare una consultazione sulla revisione del regolamento 994/2010 Ue: “Misure volte a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di gas”, nell’ottica che il miglioramento della cooperazione tra Stati membri possa sensibilmente mitigare l’impatto di eventuali interruzioni degli approvvigionamenti. Il tutto riguarda anche l’Italia pensando a quel famoso concetto di “hub del gas” su cui ad esempio Snam sta lavorando già oggi, attraverso un programma di “reverse flow” della nostra capacità che ci consenta di rifornire i mercati europei.

Resta da dire che prevedere in qualche modo il futuro non è sempre facile, ma non provarci per tempo lo rende impossibile.

Print Friendly, PDF & Email

Per ricevere quotidianamente i nostri aggiornamenti su energia e transizione ecologica, basta iscriversi alla nostra newsletter gratuita

Tutti i diritti riservati. E' vietata la diffusione
e riproduzione totale o parziale in qualunque formato degli articoli presenti sul sito.
Nato ad Avellino, giornalista professionista, laurea in comunicazione di massa e master in giornalismo conseguito all’Università di Torino. È direttore della rivista CH4 edita da Gruppo Italia Energia. In precedenza ha lavorato nel settore delle relazioni istituzionali e ufficio stampa, oltre ad aver collaborato con diversi media nazionali e locali sia nel campo dell’energia sia della politica. È vincitore di numerosi premi giornalistici nazionali e internazionali.