Edifici passivi verso l’industrializzazione. Pronti alla fase 0.0

Casa PassivaCostruire edifici ad alto livello di comfort e magari anche con un consumo energetico vicino allo zero: queste sono le case così dette passive. Termine forse da sostituire con “case attive”, considerando anche le ultime tecnologie legate alla domotica che rendono le abitazioni dei veri e propri software evoluti  in grado di elaborare informazioni, registrare comportamenti e, perché no, anche anche avere un basso impatto ambientale. Non pensiamo ai “cervelloni” invadenti e fin troppo decisori che la letteratura fantascientifica ci ha trasmesso, ma a un ambiente che si organizza e regola in base all’analisi dei fattori climatici e abitativi interni ed esterni all’edificio. Il tutto secondo una massima accezione di confortevolezza del vivere. Ne è convinto  Massimiliano Caruso, CEO e-HOME by AAKHON che con la sua azienda sta portando una nuova innovazione: l’industrializzazione del processo edile. Nell’intervista i dettagli.

Quali sono le caratteristiche costruttive delle case passive?

Gli edifici passivi non sono diversi dagli edifici tradizionali, perché il termine “passivo” descrive uno standard e non una tipologia architettonica. In generale, un edificio passivo (tra cui anche una casa passiva) è una costruzione che garantisce un alto livello di comfort con un consumo di energia quasi nullo (nearly Zero Energy Building, detto brevemente, nZEB).

Per entrare più nel tecnico le principali caratteristiche costruttive sono: livello eccezionalmente elevato di coibentazione termica; telai delle finestre coibentati con tripli vetri basso emissivi; edifici privi di ponti termici; involucri degli edifici ad elevata tenuta all’aria e al vento; ventilazione comfort con recupero di calore ad alta efficienza. 


Parlare quindi di edificio “passivo”, o meglio “attivo” -termine che dovrebbe sostituire l’attuale-, significa innovare l’edilizia rimettendo al centro la persona e l’esperienza positiva dell’abitare, dove il “ben-essere”  trasforma gli spazi in una sorta di prolungamento della persona stessa.

Avremo quindi edifici a zero consumo di energia, a zero emissioni in atmosfera, a zero produzione di scarti in ambiente, a zero inefficienze e zero discomfort: è il concetto della nuova “edilizia 0.0” così come la chiamiamo in Aakhon.

In un momento in cui lo spazio dedicato alla edilizia si sta riducendo, come la costruzione di case passive può rilanciare il settore?

Il mercato immobiliare è in palese difficoltà. Tuttavia non si può aspettare che accada qualcosa di esterno per invertire la rotta del continuo trend negativo. La svolta deve avvenire dall’interno, dall’intera filiera dell’industria dell’immobiliare. Tale innovazione può partire da un nuovo paradigma della qualità che il mercato stesso attende e pretende. Qualità della vita, ovvero, qualità dell’abitare nello specifico. Oltre ai consumi il valore aggiunto è il comfort: il “ben-essere”. A questo sono abbinati elementi tra loro separati ma allo stesso tempo, interconnessi, che sono il cuore più profondo dell’esperienza e dell’emozione che l’abitare lascia e consegna alla persona.

Anche la sostenibilità è centrale nella domanda del nuovo mercato immobiliare. Sostenibile, anche qui significa tante cose. Dal costo alla qualità dell’abitare. La prerogativa sociale degli spazi, ovviamente anche il rispetto dell’ambiente e della salute delle persone, ma sopratutto l’attenzione che ogni progetto di rigenerazione o nuova edificazione deve avere per garantire un ciclo di vita virtuoso dell’opera, nella logica di un’efficace economia circolare.

La costruzione di edifici passivi, o ripeto attivi, in un’ottica industriale è un’efficace, e sicura, risposta a tali attese per il rilancio di un mercato stanco.

Cosa significa industrializzare in edilizia e perché questo processo favorisce l’impatto green delle costruzioni?

L’edilizia è il mercato meno industrializzato che conosciamo ad oggi. Ancora troppo è affidato a sistemi di progettazione che io chiamo “frammentata” quando non addirittura improvvisata e completata in fase d’opera preso il cantiere. Vi siete mai chiesti perché in Italia non sbarcano gli importanti studi di progettazione americani? Il motivo è, a mio avviso, molto semplice: in  questo Paese l’investitore immobiliare non vuole pagare una progettazione industrializzata e si accontenta di un prodotto di basso livello, spesso affidato a maestranze poco più che artigiane e di piccolissime dimensioni.

E’ invece necessario pensare ad un prodotto di sviluppo industriale che diventi sempre più HI-LO (High performance – Low cost). Ciò richiede un cambiamento culturale che porti, gradualmente, ad un “processo olistico di industrializzazione” dell’intera filiera costruttiva e manifatturiera dell’edilizia.

Dal punto di vista “olistico”, la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore/differente dalla somma delle prestazioni prese singolarmente. Tale principio sta alla base di ogni processo industriale per realizzare grandi opere di manifattura come un’auto, uno smartphone, piuttosto che una collezione di abiti. Processi di produzione a cui la filiera dell’edilizia non è da meno. Oggi in Italia non esistono dei veri e propri brand dell’edilizia capaci di un simile approccio.

La digitalizzazione porterà un cambiamento anche in questo settore per cui nascerà, inevitabilmente, una nuova organizzazione esponenziale della filiera industriale. Cambierà così l’assetto delle professioni. Non esisterà più l’architetto o lo studio d’ingegneria come lo conosciamo ad oggi, ma aziende specializzate, come team di ingegneri e architetti, che lavoreranno in perfetta sinergia con il designer (inteso alla tedesca quindi figura ponte tra un architetto e un ingegnere con competenze pragmatiche in fisica, scienza dei materiali e altro ancora n.d.r.) per la realizzazione architettonica e ingegneristica di un opera edile, in armoniosa fusione del design con la tecnologia.

Le parole d’ordine nel controllo della produzione saranno: interfaccia, dashboard, sperimentazione, autonomia e social. Contemporaneamente, la crescita e lo sviluppo saranno regolate da parole come staff on demand, community, crowd, algoritmi o laveraged asset. Infine penso che la brandizzazione dell’industria edilizia porterà anche ad un processo virtuoso di cura ed affidabilità nel tempo del bene che sia rigenerato o costruito a nuovo.

Un vero brand intercetterà la nuova domanda commerciale offrendo, come nell’automotive, elevate garanzie, affidabilità post-vendita, continua capacità di manutenzione e gestione sostenibile dei cicli di vita.  Ci sarà una crescita culturale condivisa e sempre più a misura d’uomo e del suo ambiente.

Questo per quanto riguarda il nuovo, mentre rispetto al retrofit è possibile agire e con che risultati?

Certamente, con risultati nella maggior parte dei casi molto vicini, quando non addirittura identici, alle performance del nuovo. Se si tiene conto che un edificio preesistente consuma in media 10 volte di più di uno nuovo, ristrutturare i vecchi edifici è economicamente vantaggioso e contribuisce al contempo a ridurre la dipendenza economica nazionale dall’importazione di energia dall’estero. Per tale motivo è necessario continuare ad agevolare ed incentivare finanziariamente tali interventi.

Tuttavia è complicato riuscire a cogliere i benefici, sia del privato che del pubblico, nell’immediato poiché l’investimento iniziale risulta solitamente superiore all’investimento di una ristrutturazione tradizionale che non ha importanti pretese rispetto le performance. Per tale ragione è necessario che anche gli interventi di retrofit subiscano un importante processo d’industrializzazione al fine di ridurne, in modo importante, i tempi e i costi. In questo modo si favorirebbero evidenti virtuosismi nei ritorni economici ed ambientali, sull’intero ciclo di vita dell’edificio.

E’ pensabile l’idea di abbattere e ricostruire palazzi esistenti secondo questa tipologia di costruzione?

Non solo è pensabile ma, a mio avviso consigliabile ogni qualvolta ciò sia possibile. Retrofit significa anche demolire e ricostruire. Se riuscissimo ad ampliare il parco di edifici performanti sotto il profilo energetico ci troveremmo presto nella condizione di immettere in rete energia pordtta dalle strutture rinnovate (cosiddette Energy-Plus).

E’ evidente che la tecnologia è la base di tale innovazione, ma senza le corrette scelte e strategie politiche di incentivazione e sostegno di tali visioni, non sarà possibile raggiungere detti traguardi e virtuosismi ambientali, sociali e urbanistici.

Ci sono dei limiti edilizi nelle costruzioni passive?

No, non ci sono limiti. Ho parlato prevalentemente di edifici e non di case. E’ possibile realizzare costruzioni passive, nZEB o meglio ancora energy-plus sia con destinazioni residenziali, piuttosto che commerciali, terziarie o industriali. Tali costruzioni possono assumere le dimensioni e le forme architettoniche desiderate essendo garantita la sismoresistenza, la sicurezza impiantistica, la prevenzione incendi ed ogni altra garanzia costruttiva necessaria a realizzare opere assolutamente a misura d’uomo e della sua sicurezza.

Il vero limite sarebbe quello di continuare a realizzare edifici secondo una condizione tecnologica ormai vecchia e superata come mediamente è stato fatto sino ad oggi. L’edilizia non può restare a ‘guardare dalla finestra’ mentre tutti gli altri mercati che ho citato, continuano a crescere esponenzialmente, utilizzando le tecnologie innovative. La vera domanda è quindi: “l’industria immobiliare è pronta a fare questo salto?”; personalmente ritengo che non si possa prescindere da uno sviluppo futuro diverso dall’edilizia 0.0.

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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.