Sfide e propositi del nuovo Comitato “Energia da Biomasse Solide”

Biomassesolide

Il cambio del regime tariffario, che andrà a soppiantare i Certificati Verdi dal 1 gennaio 2016, potrà comportare dei rischi per il comparto della produzione di elettricità da biomasse solide. In particolare, rischia di determinare una iniqua penalizzazione delle biomasse solide rispetto alle altre fonti di energia rinnovabile. Per tutelarlo lo scorso 21 luglio è nato il Comitato “Energia da Biomasse Solide”. Ce ne parla il Portavoce Simone Tonon.

Qual è l’obiettivo del Comitato “Energia da Biomasse Solide” e come avete scelto i protagonisti di questa iniziativa?

 Il Comitato nasce per iniziativa dei più importanti soggetti che gestiscono impianti di produzione di energia elettrica da biomasse solide – essenzialmente legnose – e ha l’obiettivo di salvaguardare i benefici diretti e indiretti che il comparto genera per il sistema Italia. Rappresentiamo il 60% dei produttori di energia da biomasse e, visto l’interesse per l’iniziativa, raggiungeremo una rappresentatività superiore al 70% in breve tempo. Tra i nostri obiettivi vi sono: la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sulla necessità di eliminare la previsione del DM 6 luglio 2012 sul mancato adeguamento delle tariffe incentivanti all’attuale prezzo dell’energia e il ripristino del premio ambientale per la riduzione delle emissioni.

Rispetto il DM 6 luglio 2012, quali sono le modifiche in previsione che ritenete penalizzanti per il comparto?

L’effetto che si determinerà per il settore delle biomasse è alquanto iniquo rispetto alle altre fonti rinnovabili, in quanto elimina dal 1/01/2016 il meccanismo di compensazione sui ricavi tra il prezzo dell’energia elettrica e i ricavi da incentivo. Ciò comporterà una perdita di quasi il 15% dei ricavi complessivi generati dal settore, con il conseguente collasso di quest’ultimo e del relativo indotto.

Quali sarebbero i benefici (anche economici) per il Paese se il settore delle bioenergie seguisse un pieno sviluppo? Potrebbe favorire una crescita in termini di competitività dell’industria italiana?

I benefici generati da questi impianti si concretizzano su vari profili, con un notevole impatto sulla filiera socioeconomica italiana. Basti pensare al forte contributo occupazionale, diretto ma soprattutto indiretto (si contano circa 5.000 addetti ndr), per la produzione e per la raccolta della biomassa, in particolare in aree strutturalmente a scarsa occupazione, o al grande valore aggiunto generato localmente dalla presenza di questi impianti, che riversano nell’indotto del territorio parte consistente dei ricavi da incentivo. A ciò si aggiunge il rilevante contributo fiscale e le royalties riconosciute agli enti locali. Senza considerare i benefici ambientali, attraverso la riduzione di emissioni grazie a continui controlli e alla manutenzione costante effettuata su tali impianti. C’è poi il contributo che forniamo nella gestione di biomasse residuali, altrimenti destinate allo smaltimento in discarica o a pratiche di combustione inidonee, nonché il sostegno dell’industria boschiva per una corretta gestione del patrimonio forestale.

Inoltre, il comparto della produzione di elettricità da biomasse solide svolge un importante ruolo nel settore agricolo, grazie alle produzioni agroenergetiche, alla valorizzazione dei terreni marginali e all’impiego dei sottoprodotti, fonte di reddito addizionale per il settore. Infine, si può ritenere tra i più longevi nel campo della generazione elettrica da fonti rinnovabili e, nel corso degli anni, ha garantito la creazione di competenze specialistiche nella progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione di questa tipologia di impianti, nonché nello sviluppo di tecnologia e nella produzione di componentistica, esperienza oggi riconosciuta anche all’estero. Molti dei membri del Comitato appartengono poi al Lombard Energy Cluster, un incubatore per lo sviluppo tecnologico del settore della valorizzazione energetica.

Quale potrebbe essere il supporto di impianti a biomasse: prevedete un valore economico nell’elettrificazione del Paese?

Rispetto all’infrastruttura elettrica nazionale, gli impianti a biomasse sono le uniche fonti rinnovabili che operano costantemente durante tutto l’anno, assicurando continuità, stabilità e programmabilità nella fornitura di energia elettrica per oltre 8000 ore/anno. Questi impianti, in quanto programmabili, non sovraccaricano la rete elettrica nazionale né generano costi addizionali di implementazione della rete, diversamente dall’eolico o dal fotovoltaico.

Il futuro del comparto passa per l’economia circolare e la valorizzazione delle economie locali?

Il settore già oggi opera in un regime di integrazione con il territorio. Quasi tutti gli impianti acquistano biomassa di filiera che viene prodotta localmente da imprese agricole e forestali. Ogni realtà si è quindi integrata con il territorio in cui opera, selezionando il proprio approvvigionamento in funzione delle disponibilità (es. manutenzione forestale in Calabria, pioppicoltura in Pianura Padana e residui agricoli e vinacce in Emilia/Romagna). Attualmente i limiti a una maggior integrazione sono solo normativi, quali ad esempio il divieto di impiego delle ceneri a uso agronomico. In sintesi, la mancata revisione della norma, che dal 1 gennaio 2016 eliminerà il meccanismo compensativo tra ricavi da vendita di energia e incentivo, comporterà la crisi degli impianti esistenti e la fine del settore, della sua filiera e dell’indotto, ma soprattutto la perdita dei benefici che il comparto apporta al sistema economico e sociale italiano.

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