Non solo idrogeno. Maggiore integrazione per il futuro della mobilità

H2mIntegrazione. È la parola chiave che ha guidato la realizzazione di H2M (H2 Mobile), il primo veicolo in grado di produrre e stoccare autonomamente energia mediante idrogeno. Ce ne parla Nicola Conenna Presidente dell’H2U, l’Università dell’Idrogeno di Monopoli.

Com’è nato H2 Mobile?

Il progetto è nato circa due anni fa dall’idea congiunta di Aldo Balassi e del sottoscritto. La Regione Puglia aveva pubblicato un bando con fondi Carbon Tax destinato a impianti dimostrativo-educativi alimentati da fonti rinnovabili. Invece di presentare un progetto su un edificio, abbiamo avanzato una proposta su un veicolo che è piaciuto molto alla commissione e ha ricevuto il massimo dei punti su quasi tutte le categorie. Nell’arco degli ultimi due anni abbiamo progettato e costruito il veicolo, ad occuparsene la ditta di Napoli Abicar. Oggi il furgone è pronto e stiamo finendo di montare le ultime attrezzature per partire per il giro d’Europa in modo da arrivare a Parigi in tempo per l’inizio della COP21. Essendo una fondazione con carattere universitario, la sperimentazione e la civilizzazione della popolazione europea sono nel nostro DNA.

H2m2Quali sono le caratteristiche tecniche del veicolo?

Pensiamo le energie rinnovabili non installate sui campi come impianti industriali, bensì integrate negli edifici. Nel nostro prototipo adoperiamo 24 batterie tampone da 230 A/h, ma l’accumulo vero e proprio avviene mediante idrogeno prodotto da acqua (nel nostro caso piovana poi filtrata) e dalla radiazione solare. Avendo una riserva importante di idrogeno (per ora 10 bombole da 50 litri che diventeranno 20) abbiamo la possibilità di rifornire tre o quattro autovetture alimentate completamente a idrogeno. Per ora il motore Tri-Fuel sfrutta a gasolio, metano e idrogeno, prossimamente lo sostituiremo con uno elettrico. Sul furgone è presente una sala multimediale audio-video e una stampante 3D: il nostro è in primo luogo un progetto educativo che vuole educare il pubblico alla filosofia della generazione diffusa anche mediante produzione di oggetti. Una sorta di nuovo artigianato digitale in grado di ridurre le emissioni inquinanti, un “work-in-progress” che migliora di settimana in settimana.

Giappone e Canada stanno spingendo per l’espansione della rete di distribuzione dell’idrogeno. L’Italia come si colloca in questo scenario?

Il mezzo è progettato in Puglia e realizzato a Napoli, 100% Made in Italy. L’Italia, però, rispetto al panorama internazionale non spinge la diffusione della mobilità alternativa: i paesi che stanno portando avanti questa filosofia sono Giappone, California, Germania e Francia. In Italia l’ostacolo alla diffusione dell’idrogeno non è la tecnologia (la Fuel Cell è ormai matura grazie al lavoro fatto da diverse case automobilistiche come Toyota, Hyundai, Daimler e General Motors), ma l’infrastruttura e la normativa. La rete di distribuzione non esiste e l’impedimento maggiore riguarda l’accumulo, il serbatoio: il regolamento europeo prevede la ricarica a 350 bar, in Germania si effettua a 700 bar in Italia (nonostante l’obbligo comunitario) non ci sono le normative per effettuarla. Anche per questa ragione sto pensando di immatricolare il mezzo in Germania.

Mentre la mobilità elettrica si sta diffondendo, quella a idrogeno resta indietro. Il vostro progetto potrebbe contribuire alla sua implementazione? H2m3

Le batterie al litio sono difficilmente riciclabili e si possono infiammare – alcune hanno preso fuoco anche a bordo degli aerei – perché, in presenza di un elettrolite infiammabile, concentrare la potenza elettrica sui due elettrodi diventa pericoloso. Nel mondo non esiste una quantità sufficiente di litio per lo sviluppo della mobilità alternativa su larga scala. Nel prototipo adoperiamo batterie tampone al piombo in abbinamento all’idrogeno la cui produzione non subisce, per contro, alcun limite. È possibile produrre idrogeno dalla corrente elettrica che si genera con le fonti rinnovabili: la radiazione solare sul pianeta è 15.000 volte superiore a quella che attualmente usiamo.

Cosa risponde ai dubbi legati all’instabilità del gas?

L’idrogeno è un gas potenzialmente esplodente che ha bisogno di poca energia per infiammarsi, per questo lo separiamo dall’ossigeno. La benzina è più pericolosa: se l’idrogeno sfugge dalla bombola sale verso l’alto disperdendosi con estrema velocità; se a sfuggire è la benzina questa scende verso il basso bruciando a lungo. L’idrogeno può essere ossidato nelle Fuel Cell a basse temperature o nei motori endotermici ad alta temperatura: nel primo caso si produce solo acqua a temperature all’incirca di 50°, nel secondo viene ossidato anche l’azoto dell’aria. Sarebbe utile utilizzare questi veicoli nei centri storici perché evitare anche l’immissione in aria di polveri sottili.

Guardando al futuro avete già pensato alle possibili applicazioni della vostra tecnologia?

Siamo nella fase di prototipo usato per scopi dimostrativi. In futuro si potrà pensare alla commercializzazione del veicolo, ma il solo fatto di installare in maniera integrata sei o più tecnologie dimostrerà una potenzialità che, tradotta in termini industriali, potrà essere definita come terza rivoluzione industriale.

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Giornalista professionista e videomaker, attenta al posizionamento seo oriented degli articoli e all'evoluzione dei social network. Si occupa di idrogeno, economia circolare, cyber security, mobilità alternativa, efficienza energetica, internet of things e gestione sostenibile delle foreste