Mobilità, le misure vigenti non sono adeguate?

Shutterstock 104063762Lo chiediamo a Pietro Menga, Presidente CEI-CIVES.

“Nonostante la Legge n.134 del 7 agosto 2012 incentivasse economicamente l’acquisto dell’auto elettrica e sostenesse l’installazione delle colonnine di ricarica pubbliche, nel 2014 le vendite in Italia non sono decollate attestandosi all’un per mille (contro il 15% delle auto vendute in Norvegia e il 2%-7% nei Paesi europei ). Questo ha dimostrato che le misure adottate non hanno favorito il superamento delle barriere all’acquisto: costi elevati e carenza infrastrutturale. Le persone non percepiscono i vantaggi derivanti dalla mobilità alternativa: il sistema incentivante ha avuto poco appeal, non sopperendo alle differenze di prezzo tra i veicoli e 

rendendo quelli elettrici i più costosi (rispetto, anche, alle auto a metano). Eccessivamente vincolante, la legge n.134, i cui incentivi sono stati azzerati a fine 2014, non è stata efficace perché 

Menga

ha avuto il grande handicap di essere in vigore per poco tempo. La “paura della ricarica”, invece, testimonia che ancora non esiste un’infrastruttura diffusa sul territorio e che saranno necessari anni per portarla a compimento”.

Quindi a quali misure rifarsi?

Per poter finanziare il settore della mobilità elettrica bisognerebbe attingere alla fiscalità, ma chi ha il coraggio di imporre nuove tasse? In altri Paesi i finanziamenti provengono dal mondo della “mobilità cattiva”, colpevole di elevate emissioni nocive. Ciò accade già in Norvegia, ad esempio, o in Francia dove c’è una tassa extra per chi emette livelli eccessivi di CO2 per km, in modo da incidere su chi si può permettere di pagare di più. Perché in Italia non pensiamo ad un sistema alla “robin hood” dove chi supera le emissioni oltre i 200-250 g/km deve pagare di più? È l’Europa a suggerire che “chi inquina paga”.

I comuni adottano diversi incentivi: ad Alessandria, ad esempio, il Comune ha recentemente deciso di rendere gratuito l’accesso alla ZTL e il parcheggio su strisce blu. Ma queste iniziative sono effettivamente utili?

Rispetto all’estero, in Italia le misure di sostegno vengono interpretate arbitrariamente da ogni città, trattandosi di competenze comunali. Ad oggi sono circa 30 i centri urbani che adoperano misure incentivanti (chi opta per il parcheggio gratuito, chi per l’ingresso nelle ztl, anche solo in alcuni orari). In Norvegia invece, ad esempio, i mezzi sono riconoscibili perché hanno la medesima targa su tutto il territorio nazionale e godono di regole di circolazione agevolate su tutto il territorio (soste, accessi, pedaggi etc.).

L’installazione di 600 colonnine in tutta Italia non ha spinto il settore come ci si aspettava; la ricarica veloce può accelerare l’adozione del veicolo alternativo?

La ricarica più efficace è sicuramente quella veloce, allocata ad esempio presso le pompe di benzina e dovrebbe essere incentivata. Rispetto ai 24 modelli di auto elettriche presenti sul mercato, però, solo la metà prevede questo tipo di ricarica, sia in corrente continua che alternata. Ci si pongono innanzi due soluzioni: omologare la modalità di ricarica oppure pensare a colonnine in grado di erogarle entrambe, sempre considerando i costi molto elevati per la ricarica fast.

Il Keyhanger, app sviluppata da PlugSurfing e distribuita in Italia da Route220, permette di avere un unico strumento di accesso alle colonnine di ricarica attualmente disponibili in Europa. Quanto può contare l’omologazione del sistema di riconoscimento sul territorio nazionale? I gestori potrebbero trarre reciproco vantaggio dall’uso delle proprie colonnine attraverso altri circuiti?

Certo si potrebbero stabilire regole e accordi condivisi, ma oggi il mercato non è ancora sufficientemente esteso e maturo e non ha l’appeal per attivare questo business, come accade invece  ad esempio nel campo della telefonia. Quando conterà milioni di vetture circolanti, allora attirerà  più concretamente l’intersesse degli stakeholder del settore, dall’auto alle utility.

Solo il 16% degli utenti che possiedono un veicolo elettrico ricarica alle colonnine pubbliche, mentre l’84% lo fa a casa, sia per non lasciare incustodita la macchina per ore, sia perché l’energia costa il 35% in meno. Si può pensare a spingere ulteriormente questa pratica domestica per ridurre i costi dell’utente?

Chi sceglie il veicolo elettrico vuole ricaricare a casa, la colonnina pubblica è un elemento di complemento, una sorta di seconda chance. In Italia c’è una percezione erronea, perché si pensa che pochi dispongano del box auto per ricaricare; in realtà nelle villette tutti hanno la possibilità di installare una colonnina. Il discorso si complica se pensiamo ai condomini: molti dispongono di parcheggi o posti auto (approssimativamente a Milano su un parco circolante di 600.000 auto sono 300.000 quelli recensiti, a Bologna su 190.000 sono 105.000, a Torino su 550.000 sono 210.000, a Roma su 1.800.000 sono 640.000), ma sono privi di una potenza elettrica sufficiente e dovrebbero affrontare operazioni di adeguamento troppo costose (richiesta di nuovo allacciamento e contratto, potenziamento dell’impianto elettrico, eventuale acquisto di un wall-box). Le soluzioni per uscire da questa impasse sono diverse: innanzitutto servirebbero crediti d’imposta, in secondo luogo i condomini di nuova realizzazione dovranno essere già predisposti all’installazione di colonnine e i comuni dovranno usufruire di agevolazioni amministrative da hoc.

Oltre all’elettrico l’idrogeno: l’Europa si sta muovendo, anche l’Italia potrebbe seguire la scia?

Naturalmente oltre l’elettrico c’è l’ibrido che col doppio motore, che permette di coprire nel funzionamento a benzina di coprire anche lunghi tragitti. Il ricorso al carburante non implica che rimarremo per sempre legati all’uso del petrolio, perché potremo usare biocarburanti, come il biodiesel, con basse emissioni di sostanze dannose per l’ambiente e l’uomo. Ci sono anche i veicoli a metano, ma non possono essere equiparati all’elettrico che è a emissioni zero non solo per il particolato ma anche per gli ossidi di azoto, il black carbon, gli idrocarburi, e in prospettiva la CO2 con l’alimentazione da fonti rinnovabili. L’idrogeno è un altro capitolo dai contorni ancora aperti: interessante in prospettiva  perché non avrebbe il vincolo di bassa autonomia delle batterie, ma è ancora improponibile a breve in Italia per l’assenza di una infrastruttura di rifornimento, che richiederebbe grossi costi finanziari. Anche il consumo energetico, allo stato della tecnica, è più elevato rispetto ai veicoli a batteria. Inoltre, in Italia occorre sviluppare un’infrastruttura di rifornimento da zero e affrontare costi finanziari ingenti.

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Giornalista professionista e videomaker, attenta al posizionamento seo oriented degli articoli e all'evoluzione dei social network. Si occupa di idrogeno, economia circolare, cyber security, mobilità alternativa, efficienza energetica, internet of things e gestione sostenibile delle foreste