Il principio sociale nell’edilizia sostenibile

LPuglia normativa italiana ha subito una forte evoluzione nell’ultimo decennio, in particolare in quei settori che sono analiticamente quantificabili: l’efficienza energetica, il ricorso a fonti rinnovabili, le emissioni di Co2.

Da questo punto di vista la normativa ha fatto passi da gigante e gli edifici consumano oggi una frazione rispetto a solo un decennio fa. E non sono solo i consumi dichiarati a essere migliorati ma anche quelli effettivi, in quanto la spinta si è mostrata su più fronti contemporaneamente: pensiamo al progressivo restringimento dei limiti di consumo per l’edificio, per i singoli componenti (muro, infisso, impianto…), l’introduzione e la crescente divulgazione dei valori di prestazione energetica tramite gli attestati. Una spinta così intensa e coordinata non si era mai vista prima”.

A spiegarlo è Giovanni Sasso, Presidente dell’Istituto Nazionale BioARchitettura, che aggiunge: “In un periodo di restringimento dei numeri del mercato l’efficienza energetica è diventata baluardo e strumento per la differenziazione nel mercato, così gli attori immobiliari hanno finalmente adottato questa via e il riferimento che un tempo era il limite normativo minimo da raggiungere oggi è un riferimento di base da cui partire”.

Dunque il bilancio è positivo?

Ci sono due aspetti legati alla diffusione dell’efficienza energetica. Da un lato abbiamo la riduzione dei singoli consumi di gas per la climatizzazione invernale, dall’altro il costante aumento del patrimonio edilizio esistente. Continua così ancora a verificarsi quello che si è sempre verificato nella storia dell’uomo. Un progressivo efficientamento energetico accompagnato dall’aumento dei consumi complessivi. Negli ultimi anni si è assistito a un ribaltamento di prospettiva e l’efficienza energetica, che da sempre era un mezzo tra i tanti per ottenere sostenibilità, è assurto a fine unico. C’è in questo qualcosa di visceralmente distorto. Ci metteremo decenni per accorgerci dell’equivoco e per porvi rimedio.

Come disse un noto fisico: “Non si può risolvere un problema sullo stesso piano che lo ha generato”. Non è quindi la tecnica che ci porterà da sola a una riduzione dei consumi. Questo perché i consumi sono un prodotto delle scelte dell’uomo. Pertanto è sull’uomo stesso che bisogna fare leva. L’uomo è alla ricerca di felicità e di qualità di vita e tale qualità, una volta superata la soglia dei valori minimi, è qualcosa di percettivo e intangibile. Quanto devo consumare in più oggi per mantenere la stessa qualità di vita di ieri? Fintanto che la domanda resta questa siamo destinati a vedere un sempre crescente consumo di risorse. E mano a mano che il territorio viene consumato, l’esigenza di consumo è destinata a crescere.

Vi è la possibilità di invertire questa tendenza, che non può nascere dal sistema produttivo ma da una società consapevole e sociale. La società odierna ricerca la qualità nelle cose e così fa anche nelle case.

Ricerchiamo la qualità negli oggetti inserendovi qualità, dimenticando il fatto che mai è stato così nella storia dell’uomo, e che la qualità dell’edificio un tempo scaturiva dalla sua intima e naturale relazione con il contesto circostante. Noi viviamo in oggetti autoreferenziali, come tante macchine abitative parcheggiate su un foglio bianco. È difficile che in questo contesto sia appagata la nostra ricerca di qualità, se non da surrogati a obsolescenza accelerata.

La ristrutturazione può essere un’ancora di salvezza?

Di sicuro l’unico settore dell’edilizia che sta dimostrando di resistere è quello dell’intervento sull’esistente. Da tempo si sta pensando come dirottare risorse economiche sulla ristrutturazione dell’esistente. La normativa al riguardo è latitante o trova serie difficoltà. Alcuni ventilano l’introduzione di ulteriori tassazioni sul nuovo da cui dirottare risorse, fingendo di ignorare la già difficile situazione del mercato immobiliare. In realtà si tratta di uno scenario che vede il legislatore e gli uffici impreparati.

Ad esempio se costruisco e vendo il nuovo pago la transazione una volta, mentre se acquisto-ristrutturo-rivendo la pago al doppio, configurando una anacronistica disparità fiscale. Quando poi si parla di standard, distanze, etc, siamo vincolati a una visione delle problematiche della città di stampo ottocentesco.

La qualità della vita è misurata in metri: distanze, superfici minime, rapporti di aero-illuminazione, ignorando che ciò che rappresenta una soluzione nel piccolo può rivelarsi un problema in una scala maggiore. Così i bagni illuminati si trasformano in camere strette e le distanze minime tra palazzine ed il minimo di posti auto in città fuori misura.

Tutto ciò sempre ignorando le più elementari istanze della qualità. Come disse lo stesso noto fisico: non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato!

A nostro avviso i requisiti igienico sanitari vano superati a favore di una visione più generale e autentica della qualità di vita, travalicando i parametri numerici a favore della qualità delle prospettive e delle viste, del verde e degli spazi, della percorribilità a misura d’uomo e della socializzazione.

Come si inserisce l’autocostruzione?

È una soluzione per ridurre i costi di costruzione evitando i ricarichi, il pagamento della manodopera, i ricarichi nella gestione del cantiere e operazione immobiliare. Ha quindi un aspetto economico importante. A questo aggiungo la capacità che ha la condivisione del lavoro manuale e l’adozione di obiettivi comuni di coagulare le conoscenze di vicinato e a volte anche le amicizie. Si tratta quindi senz’altro di una ottima soluzione per intraprendere un percorso di riavvicinamento al territorio. Ad oggi non esiste una normativa specifica in tal senso, anche se diverse realtà locali hanno promosso bandi di assegnazione fondi e terreni.

Quali sono gli ulteriori passi in avanti da compiere?

Ogni aspetto va valutato nella complessità delle relazioni che instaura intorno e con l’uomo. In questa concezione la strada torna a essere un’esperienza percettiva e sociale ricca di avvenimenti, l’acqua da fatto tecnico da risolvere diventa occasione di qualificazione e ricchezza del territorio e dello spazio, il verde da standard diventa spazio di svago, miglioramento della qualità dell’aria e del microclima, ecc.

È l’essenza del messaggio che l’Istituto Nazionale di BioARchitettura con il suo contributo scientifico e divulgativo porta avanti dal 1990. Quest’anno dal 24 al 26 aprile festeggiamo il 25° anno dalla nascita con una convention nazionale di 3 giorni a Rimini, in cui faremo il punto della situazione per fare sì che nel futuro sempre più potremo vedere una gestione del territorio pensato per l’integrazione delle funzioni e concepito come produttivo, usufruito e percettivo.

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Nato ad Avellino, giornalista professionista, laurea in comunicazione di massa e master in giornalismo conseguito all’Università di Torino. È direttore della rivista CH4 edita da Gruppo Italia Energia. In precedenza ha lavorato nel settore delle relazioni istituzionali e ufficio stampa, oltre ad aver collaborato con diversi media nazionali e locali sia nel campo dell’energia sia della politica. È vincitore di numerosi premi giornalistici nazionali e internazionali.